Caroso, Fabrizio

Immagini (Secondarie)
Didascalie

Ritratto di Fabrizio Caroso all’età di 46 anni presente nell’edizione de Il Ballarino (1581).

Data di nascita
1527 circa
Data di morte
dopo il 1605
Paese
Epoca
Categoria
Biografia

Fabrizio Caroso nacque a Sermoneta. Dal 1554, lavorò come danzatore, per divenire, in seguito, teorico e “inventore di scene”. Fu molto stimato sia come maestro di ballo sia come musicista di musiche per danza. Svolse la sua carriera presso gli ambienti nobiliari di Roma e Firenze grazie all’appoggio della famiglia Caetani, signori di Sermoneta.

Il suo lascito più importante sono tre trattati: Il Ballarino (Venezia, 1581) dedicato alla nobile Bianca Cappello de’ Medici, granduchessa di Toscana, Nobiltà di Dame (Venezia, 1600, ristampato nel 1605) dedicato a Rinuccio Farnese e Margherita Aldobrandina, duchi di Parma, e la Raccolta di varij balli (Roma, 1630).

Tutti e tre i manuali sono suddivisi in due parti: nella prima sono descritti e definiti i vari passi di danza e le regole di comportamento, ovvero le creanze, nella seconda, invece, sono inserite le composizioni coreografiche di Caroso stesso, ognuna dedicata ad una gentildonna, e di altri maestri di ballo e tra le quali molte sono corredate da intavolatura per liuto, quest'ultima accompagnata, talvolta, con la parte melodica e con la parte del basso. 

Indicative sono le differenze tra il primo trattato del 1581 e quello successivo del 1600. Caroso, tra la prima e la seconda pubblicazione, infatti, sceglie di ridurre il numero delle composizioni coreografiche (da più di un’ottantina del primo a circa una cinquantina nel secondo) a favore dell’ampliamento della parte teorica che realizza in forma di dialogo tra maestro e allievo e dell’aggiunta di nuovi passi. Nella seconda pubblicazione, Caroso precisa e corregge molta terminologia e rielabora alcune danze che, benché mantengano lo stesso nome, siano accompagnate dagli stessi brani musicali e precedute dalle medesime illustrazioni, subiscono molte correzioni in linea con il mutamento della visione estetica di Caroso. Tale mutamento probabilmente era dovuto al cambiamento estetico in atto nel periodo e al quale Caroso si adegua con una maggiore inclinazione all’equilibrio e all’ordine, insistendo in particolare modo sulla regola della perfetta simmetria. Egli concepisce la danza come una successione di variazioni costituite da passi e figure che possono servire da modello per i danzatori capaci di improvvisare in modo appropriato allo stile.

Tutte le danze descritte nelle tre pubblicazioni di Caroso sono concepite per la pratica sociale, per una o più coppie. Benché i tratti basilari dello stile di danza di Caroso siano gli stessi per entrambi i sessi, ci sono delle differenze tra i passi eseguiti dai nobiluomini e quelli fatti dalle dame. Gli uomini, che ballavano con la cappa e la spada, si confrontavano, proprio come nella scherma o nell’equitazione, attraverso dei passi che richiedevano notevole abilità (come i salti o gli zurli), e che dovevano essere eseguiti con un lavoro di piedi vigoroso, complesso e rapido che richiedeva resistenza e buona elevazione. In generale, però, per tutta la nobiltà la danza era un momento di autorappresentazione in cui ci si dilettava nell’osservare e nell’essere osservati. Proprio per tale motivo, affinché l’evento si potesse svolgere in modo sereno e senza incidenti, Caroso fornì delle regole e spiegò alcune cerimonie.

Più che nell’originalità coreografica, benché siano presenti alcune invenzioni che anticipano talune specifiche evoluzioni della storia della danza (come la Cascarda, ad esempio), la preziosità del lavoro di Caroso consiste nell’aver fissato il repertorio del ballo nobile e nell’averlo descritto in modo chiaro e dettagliato in tutti i suoi aspetti. Caroso non solo spiega alcuni tipi di danze nati e divenuti popolari nel Sedicesimo secolo (pavana, pavaniglia, passo e mezzo, gagliarda e canario), ma delucida anche la terminologia inerente i passi, le maniere, le figure, cosicché questi elementi ancora oggi risultano comprensibili. I suoi trattati sono, dunque, una fonte molto attendibile per la ricostruzione della danza antica.

Sono diversi i punti in comune tra i lavori di Caroso e quelli dei suoi contemporanei, primo fra tutti Cesare Negri, e ciò dimostra la presenza di un riconoscibile stile italiano destinato a perdurare almeno fino alla metà del Seicento.

Bibliografia

Claudia Celi, La danza aulica italiana nel XVI secolo in «Nuova Rivista Musicale Italiana» Anno XIX n. 2, (aprile-giugno 1985) pp. 268-276.

Angene Feves, Fabritio Caroso and the Changing Shape of the Dance, 1550-1600, in «Dance Chronicle», vol. 14, n. 2/3, 1991, pp. 159-174.

Piero Gargiulo (a cura di), La danza italiana tra Cinque e Seicento. Studi per Fabrizio Caroso de Sermoneta, Roma, Bardi Editore, 1997.

Marina Nordera, Caroso Fabritio, in sous la dir. de Philippe Le Moal, Dictionnaire de la danse, Paris, Larousse, 2008, p. 85.

Julia Sutton, Caroso, Fabritio, in Martha Bremser ed., International Dictionary of Ballet, vol. 1, St James Press, Detroit, 1993, pp. 237-239.

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Modificato
05/01/2019

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