Lo dhikr jahrī delle donne uzbeke della valle di Fergana

1. Donne della Valle di Fergana, fine XIX secolo, fotografo sconosciuto, Peter the Great Museum of Anthropology and Ethnography (Kunstkamera), St. Petersburg, Russia.

2. Rituale femminile guidato da una Otin-Oy del villaggio di Gusht Emas, Uzbekistan, fotografia di Razia Sultanova.

3. Dhikr jahrī  femminile nella Valle di Fergana, Uzbekistan, fotografia di A. Ashirov.

Repertorio
Genere
Area geografica di riferimento
Aree geo-culturali
Nome del paese
Anno di registrazione
ca. 1996
Video di presentazione

Descrizione

La storia dell'Islam nelle regioni dell'Asia Centrale fu strettamente connessa alla cultura e al pensiero sufi, qui nacquero e si svilupparono infatti alcune fra le più importanti turuq ('vie', ordini sufi): la Naqshbandiyya, la Qadiriyya, la Kubrawiya e la Yassaviyya. Nel XX secolo però, durante il governo sovietico, il sufismo centroasiatico fu duramente colpito dalle politiche antireligiose dell'URSS, tanto che, negli anni Venti, il governo decretò ufficialmente la fine delle confraternite. Tuttavia alcuni elementi e pratiche sufi continuarono a sopravvivere e ad essere coltivate clandestinamente. Nella valle di Fergana, in Uzbekistan, le comunità femminili, molto meno esposte pubblicamente di quelle maschili, rappresentarono le uniche custodi delle tradizioni sufi durante l'epoca sovietica.

Nella rurale valle di Fergana le donne vivono una condizione di profonda segregazione di genere. A loro è proibito ad esempio l'ingresso in moschea (come in molte altre regioni dell'Asia Centrale) e perfino in casa hanno accesso unicamente alla parte interna dell'abitazione, chiamata Ichkari, che risulta invece inaccessibile agli ospiti e ai visitatori di sesso maschile. Gli Ichkari delle case dello stesso quartire risultano spesso comunicanti in modo tale che le donne riescano a muoversi per il villaggio senza quasi mai uscire alla luce del sole, riunendosi per praticare cerimonie e rituali collettivi. Questo status di isolamento e di occultamento del mondo femminile ha svolto un ruolo cruciale nella trasmissione delle tradizioni religiose, fra cui quelle legate al mondo del tasawwuf come lo dhikr.

Le cerimonie di dhikr jahrī, così come altri riti e celebrazioni femminili, vengono presiedute dalla figura della Otin-Oy, che può essere descritta in parte come il corrispettivo femminile del maestro sufi (pīr, sheykh). L'Otin-Oy, per ottenere tale carica, deve discendere da un mullah (teologo, esperto della legge islamica), e anch'essa deve possedere una buona conoscienza del Corano insieme ad altre caratteristiche che la rendono idonea a ricoprire tale ruolo: la rigorosa osservanza religiosa, buone doti poetiche e musicali, assenza di vincoli di accudimento dei figli ed un percorso di formazione sotto la guidia di un'Otin-Oy più anziana.

Lo dhikr jahrī delle donne della valle di Fergana al giorno d'oggi non riflette più il modello di quello di una specifica confraternita sufi, ma rappresentano bensì una forma ibrida del tutto particolare, nata dalla rielaborazione e dalla trasimissione 'clandestina' di questo rituale nel corso del XX secolo. La cerimonia può essere organizzata nelle occasioni più disparate (dalla principali festività islamiche alla celebrazione di avvenimenti lieti o tristi della vita di una delle donne della comunità). Il rito viene inaugurato dalla voce della Otin-Oy che recita o canta una serie di poesie e testi dal contenuto religioso intervallati da sūre del corano. Canto dopo canto viene raggiunto il climax che coincide con l'intonazione dello dhikr vero e proprio. Nell'esempio proposto si può ascoltare un estratto da una di queste cerimonie in cui un canto costruito sulla shahada «lā ilāha illā Allāh» (non c'è altro dio se non Allah)che sfocia in uno dhikr basato sulla recitazione del nome di Iddio 'Allah'.

Voci e strumenti
  • voci femminili
Autore scheda
CV
Licenza

Licensed under Creative Commons Attribution Noncommercial Share-Alike 3.0
 

Modificato
22/07/2019

Condividi:

 

Condividi: