Verdi, Giuseppe

Immagini (Secondarie)
Didascalie
  1. Giuseppe Verdi, ritratto di Giovanni Boldini (1842-1931), pastello su cartoncino, Roma, Galleria nazionale d’arte Moderna e contemporanea, 9 aprile 1886
  2. Giuseppe Verdi, fotografia di Ferdinand Mulnier (1817-1891), 1870 circa
  3. Giuseppe Verdi, fotografia di Pietro Tempestini, Montecatini Terme, 1899
Data di nascita
10 ottobre 1813
Data di morte
27 gennaio 1901
Paese
Stile
Categoria
Biografia

Giuseppe Fortunino Francesco Verdi nacque il 10 ottobre 1813 a Le Roncole (dal 1963 Roncole Verdi), frazione di Busseto, presso Parma, da Carlo (1784-1867) e Luigia Uttini (1787-1851). Di ceto borghese, i genitori gestivano un’osteria; il padre praticava inoltre l’attività di agricoltore, mentre la madre lavorava come filatrice. Nel 1816 dalla coppia nacque una seconda figlia, Giuseppa Francesca, che sarebbe morta di meningite nel 1833. Nel 1818 Giuseppe iniziò a formarsi privatamente sotto la guida dei religiosi della parrocchia; fu introdotto allo studio della musica dall’organista don Pietro Baistrocchi. Intorno al 1821 Verdi cominciò a sostituire occasionalmente Baistrocchi all’organo, e dopo la sua morte, occorsa nel 1823, ne rilevò l’incarico. Da quell’anno al 1827 frequentò il ginnasio di Busseto; contemporaneamente, proseguì gli studi musicali con Ferdinando Provesi (1770-1833), maestro di cappella nella collegiata di San Bartolomeo Apostolo e maestro della Filarmonica locale, che lo introdusse alla pratica della composizione e da cui prese lezioni fino al 1829. Cominciò allora a frequentare la casa di Giuseppe Barezzi, commerciante di Busseto e flautista presso la Filarmonica, che gli affidò l’educazione musicale della figlia Margherita (1814-1840), con cui nel 1831 Verdi instaurò una relazione sentimentale. Nel 1832 sostenne l’esame di ammissione presso il Conservatorio di Milano: presentatosi per la classe di pianoforte, fu respinto a causa dell’impostazione delle mani, giudicata carente, e dell’età considerata eccessiva per correggerla. Dietro consiglio di Alessandro Rolla (1757-1841), che faceva parte della commissione, e con il sostegno economico di Barezzi, Verdi proseguì allora lo studio della composizione sotto la guida di Vincenzo Lavigna (1776-1836), maestro al cembalo del Teatro «alla Scala». Con Lavigna, da cui prese regolarmente lezioni fino all’estate del 1835, Verdi svolse rigorosi studi di contrappunto e coltivò la conoscenza dei classici viennesi (Mozart in particolare); ebbe inoltre modo di frequentare assiduamente il Teatro e di entrare così in contatto con la produzione operistica più aggiornata.
Dal 1836 al 1839 Verdi assunse l’incarico di maestro di musica presso la Filarmonica di Busseto. Il 4 maggio 1836 sposò Margherita Barezzi, da cui ebbe due figli, morti però entrambi in età infantile: Virginia Maria Luigia (1837-1838) e Icilio Romano (1838-1839). Nel 1839 esordì sul palcoscenico scaligero con la sua prima opera: Oberto, conte di San Bonifacio, su un libretto di Antonio Piazza (1795-1872) rivisto da Temistocle Solera (1816-1878). La buona accoglienza ricevuta fruttò al compositore un contratto per altri tre lavori. Il periodo immediatamente successivo si rivelò però segnato da sofferenze e difficoltà: già provato dalla perdita dei figli, Verdi subì quella della moglie, morta di encefalite nel giugno 1840; e di lì a poco vide la sua nuova opera, il melodramma comico Un giorno di regno su libretto di Felice Romani, cadere con un insuccesso cocente. Amareggiato, il compositore considerò dapprima la possibilità di ritirarsi; poi, colpito dal nuovo libretto propostogli dal Teatro, Nabucodonosor – titolo poi comunemente abbreviato in Nabucco – di Solera, tornò lentamente al lavoro, giungendo ad acquisire un linguaggio più maturo, personale. Nabucco andò in scena nella primavera del 1842 con successo trionfale, segnando il vero inizio di una carriera fulminante e intensa, sempre più proiettata in ambito internazionale. A quell’epoca Verdi instaurò con il soprano Giuseppina Strepponi, conosciuta all’epoca di Oberto e ritrovata per Nabucco, ormai prossima alla fine della carriera, un rapporto di affettuosa confidenza che nell’agosto 1848 sarebbe sfociato in una solida relazione sentimentale. Dal 1849 i due convissero apertamente, sfidando giudizi e atteggiamenti spesso ostili, per poi sposarsi il 29 agosto 1857.
Il consenso acquisito e l’autorevolezza conquistata negli anni successivi furono tali da permettere a Verdi di raggiungere, a poco a poco, piena autonomia nella scelta di soggetti, librettisti, interpreti, contribuendo così a ridefinire il sistema produttivo dell’opera italiana: ponendo al centro del processo creativo il compositore, appropriatosi di un potere decisionale ch’era stato fino ad allora appannaggio dell’impresario.
Convinto sostenitore dell’unificazione degli Stati italiani, nel 1874 Verdi fu nominato Senatore del Regno d’Italia. Negli anni a seguire, si divise tra gli impegni legati all’attività di compositore, la cura della tenuta di Villa Sant’Agata, nella campagna di Busseto – acquistata nel 1848 e in cui s’era trasferito dal 1851 – e numerose iniziative filantropiche tra cui spicca la Casa di riposo per musicisti, edificata a Milano tra il 1899 e il 1902 e tuttora in attività. Il 21 gennaio 1901 fu colpito da paralisi per emorragia cerebrale presso l’Hôtel Milan, nel capoluogo lombardo, dove morì il 27 gennaio.
Destinata pressoché del tutto all’ambito operistico, la produzione di Verdi consiste di ventisei titoli. Tra i lavori degli anni giovanili – definiti dal compositore «anni di galera», in riferimento ai ritmi serrati e ai limitati poteri decisionali impostigli dal sistema produttivo del tempo – spiccano, oltre a Nabucco, Ernani (1844), con cui inaugurò la proficua collaborazione con il librettista Francesco Maria Piave proseguita per I due Foscari (1844), Attila (1846), Macbeth (1847, rivisto nel 1865), Stiffelio (1850, rivisto nel 1857 sotto il titolo di Aroldo). Uno spartiacque nella parabola creativa del compositore è rappresentato, per l’acquisizione di una drammaturgia pienamente matura e personale, dalle opere che formano la cosiddetta – in ragione della fortuna goduta presso il pubblico, ma anche dell’acuta immediatezza del linguaggio – «Trilogia popolare»: Rigoletto su libretto di Piave (1851), Il Trovatore su libretto di Salvadore Cammarano (1853), La Traviata (1853) su libretto ancora di Piave. Negli anni successivi, si segnalano in particolare Les Vêpres siciliennes su libretto di Eugène Scribe e Charles Duveyrier (1855; la versione italiana, basata sulla traduzione di Ettore Caimi, circola dal 1860 circa), con cui Verdi si confronta per la prima volta col genere del grand opéra; e poi Simon Boccanegra su libretto di Piave (1857; quindi oggetto di una sostanziale rielaborazione, su testo parzialmente riscritto da Arrigo Boito, nel 1881), Un ballo in maschera su libretto di Antonio Somma (1859), La forza del destino su libretto di Piave (1862; rielaborato in una nuova versione, con interventi sul testo letterario di Antonio Ghislanzoni e Andrea Maffei, nel 1869). L’acquisizione di una sempre maggior indipendenza, e in ultimo di una completa libertà di scelta, impensabili fino a pochi anni prima, contraddistinguono l’estrema fase creativa verdiana. Ne fanno parte ancora un grand opéra, Don Carlos su libretto di Joseph Méry e Camille Du Locle (1867; rielaborato come Don Carlo in tre versioni italiane, con traduzione di Achille De Lauzières, Angelo Zanardini e Antonio Ghislanzoni, nel 1867, 1884, 1886); Aida su libretto di Ghislanzoni (1871); e gli ultimi drammi, di derivazione shakespeariana, su libretti di Arrigo Boito: la tragedia Otello (1887) e la commedia Falstaff (1893).
Al di fuori dell’ambito teatrale, si segnalano le composizioni sacre: in particolare la Messa di requiem in memoria di Alessandro Manzoni (1874), pervasa a sua volta di tensione drammatica e i Quattro pezzi sacri (Ave Maria su scala enigmatica, 1889-1998; Stabat Mater, 1897; Laudi alla vergine Maria su testo tratto dal Canto XXXIII del Paradiso dantesco, 1890 circa; Te Deum, 1896). Tra l’esigua produzione strumentale spicca il Quartetto per archi (1873).
Lo stile verdiano trae le mosse dalla tecnica belcantistica prim’ottocentesca, per coniugarla a una scrittura esemplificata sul linguaggio dei classici viennesi e piegarla alle esigenze di una nuova, più accesa intensità drammatica, di uno scavo psicologico assolutamente inedito, nel panorama coevo, per finezza e verosimiglianza.

Risorse web

Verdi 200, raccolta di risorse multimediali realizzata in occasione del bicentenario della nascita del compositore
http://www.giuseppeverdi.it

Risorse archivistiche accessibili sul sito del Servizio Archivistico Nazionale
http://www.verdi.san.beniculturali.it

Sito della Fondazione Internazionale Giuseppe Verdi
http://www.internationale-giuseppe-verdi-stiftung.org

Risorse multimediali e approfondimenti fruibili presso il sito della Treccani
http://www.treccani.it/verdi

Bibliografia

Raffaele Mellace, Con moltissima passione. Ritratto di Giuseppe Verdi, Roma, Carocci, 20183

Paolo Gallarati, Verdi ritrovato. ‘Rigoletto’, ‘Il trovatore’, ‘La traviata’, Milano, Il Saggiatore, 2017

Massimo Mila, Verdi, a cura di Piero Gelli, Milano, BUR, 2012

Eduardo Rescigno, VivaVerdi. Dalla A alla Z Giuseppe Verdi e la sua opera, Milano, BUR, 2012

Julian Budden, Le opere di Verdi, Torino, EDT, 20132 (3 voll.)

Scritti

Lettere, a cura di Eduardo Rescigno, Torino, Einaudi, 2003

Libretti

Opere

Interpretazioni e altri documenti

Opere danza

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LRC

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Modificato
05/01/2019

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