Jommelli, Niccolò
3. Lettera autografa di Niccolò Jommelli a Pedro Botelho, direttore dei Teatri Reali di Lisbona. Lisbona, Arquivo Nacional da Torre do Tombo, Casa Real, Caixa 3506, f. 25-27.
Riconosciuto dalla critica tardo-settecentesca come uno dei massimi compositori del secolo, Niccolò Jommelli nacque ad Aversa il 10 settembre 1714, figlio di Francesco Antonio, commerciante di stoffe, e di Margherita Cristiano. Si avvicinò alla musica da bambino come cantore nella cattedrale cittadina, dopodiché a undici anni si trasferì a Napoli, dove si formò presso il Conservatorio di S. Onofrio e, dal 1728, presso quello di S. Maria della Pietà dei Turchini. Debuttò nella primavera del 1737 al Teatro Nuovo di Napoli, con la «commedia per musica» L’errore amoroso, alla quale seguì l’anno dopo L’Odoardo, messo in scena al Teatro dei Fiorentini. Questi due lavori comici fecero conoscere il compositore esordiente anche al di fuori di Napoli, portandolo presto a Roma (con Ricimero re dei Goti, 1740), Bologna (Ezio, 1741) e Venezia (Merope, 1741), città dove gettò le basi per una solida carriera internazionale. Con queste prime esperienze Jommelli non solo si affermò presso il grande pubblico, ma entrò nelle grazie di importanti mecenati, i quali avrebbero svolto un ruolo di primo piano nella sua parabola artistica pure nel lungo termine. A Bologna, inoltre, consolidò la conoscenza del contrappunto sotto la guida di padre Giambattista Martini e ottenne l’aggregazione all’illustre Accademia Filarmonica.
Gli anni Quaranta furono molto fecondi per Jommelli: nel corso del decennio scrisse diverse opere per i principali teatri italiani e ottenne un ampio successo anche con oratori su libretti di Pietro Metastasio, in particolare Isacco figura del Redentore (1742) e La Betulia liberata (1743), i quali furono ripresi varie volte. Nel 1745, su indicazione di Johann Adolf Hasse, fu nominato maestro di cappella presso l’Ospedale degli Incurabili di Venezia, dove rimase fino la fine del 1746 componendo per l’istituzione un ampio numero di lavori sacri. Lasciato questo incarico, si trasferì a Roma, dove nel gennaio 1747 presentò la prima delle tre diverse intonazioni di Didone abbandonata che avrebbe composto nel corso della sua esistenza. Si delineano già nei lavori di questo primo decennio di attività le caratteristiche peculiari dello stile jommelliano, ossia la perizia nell’uso dei recitativi accompagnati, l’interesse per una certa sperimentazione nelle strutture drammaturgico-musicali dell’opera seria metastasiana, l’attenzione per la componente espressiva e la rilevanza riservata all’orchestra, concepita in un equilibrio dialettico con le voci.
Una fondamentale svolta per la sua carriera avvenne nel 1949, quando Jommelli, contando sul duplice appoggio del cardinale Henry Benedict Stuart, duca di York, e del cardinale Alessandro Albani, si avvicinò alla cerchia papale e in aprile fu nominato coadiutore del maestro di cappella a S. Pietro in Vaticano. Su interessamento del cardinale Albani, tra l’estate del 1949 e la fine del 1750 il compositore effettuò inoltre diversi soggiorni a Vienna, alternando la sua presenza presso la corte imperiale con viaggi a Venezia e a Roma per onorare diversi impegni artistici. A Vienna, Jommelli ebbe modo di conoscere personalmente Metastasio e di lavorare in stretto contatto con lui per la messa in musica di Achille in Sciro, andato in scena il 30 agosto 1749 per il genetliaco di Elisabetta Cristina di Brunswick, vedova di Carlo VI. Da questa esperienza e dalle conversazioni con il poeta cesareo Jommelli trasse ricchi e preziosi insegnamenti su come musicare i libretti d’opera in maniera consona al testo ed efficace in termini drammatici; a partire da questo incontro, i due autori rimasero legati per tutta la vita da un ininterrotto rapporto di stima reciproca.
Nominato virtuoso per volontà del papa, nel 1750 Jommelli prese effettivo servizio presso la cappella musicale di S. Pietro con l’incarico di fornire la Cappella Giulia di pezzi per il servizio liturgico quotidiano: si assiste così nel triennio 1750-53 a un significativo incremento della sua produzione sacra, nella quale il compositore sperimentò diversi stili – dal severo a cappella ai concertati per ampi complessi vocali e strumentali – a seconda degli organici, delle circostanze d’esecuzione e dei generi liturgico-musicali praticati. Sebbene intensamente impegnato su questo fronte, Jommelli non smise di scrivere per il teatro, ma si limitò a diminuire il numero dei lavori prodotti, trovando comunque un’ottima accoglienza in tutta Europa. Nel 1753 Jommelli fu aggregato all’Arcadia, fatto che testimonia la sua padronanza della versificazione, poiché l’ingresso all’accademia avveniva solo dopo il superamento di una prova di composizione estemporanea di un testo poetico (grazie a tale capacità, egli era in grado di adattare i libretti da solo). A quest’epoca era ormai giunto all’apice della carriera e riceveva proposte da corti e istituzioni di primissimo rilievo per gli investimenti in ambito musicale, tra cui Lisbona, Mannheim e Stoccarda. Jommelli decise per quest’ultima, dove avrebbe potuto lavorare con interpreti di massimo livello per ogni settore dello spettacolo – cantanti, strumentisti, ballerini, scenografi – e avrebbe avuto a disposizione un teatro fornito delle più moderne attrezzature scenotecniche. Dopo trattative condotte personalmente con Carlo Eugenio, duca di Württemberg, il primo gennaio 1755 Jommelli divenne ufficilmente Oberkapellmeister della corte di Stoccarda, con l’incarico di scrivere due opere l’anno e di supplire al fabbisogno di musica sacra e da camera; gli era inoltre permesso assentarsi per dei periodi al fine di curare le rappresentazioni di propri lavori in altre città.
A Stoccarda Jommelli fu messo nelle condizioni di operare con grande agio: controllava l’intero processo produttivo delle rappresentazioni, poté ampliare l’orchestra da 24 a 47 componenti, dipendeva da un mecenate colto e di gusto raffinato, infine poteva contare su un pubblico competente e abituato a seguire ogni momento dell’opera con concentrazione, cosicché era in grado di apprezzare e comprendere le innovazioni introdotte dal compositore. In questo contesto, Jommelli poté sviluppare al massimo grado le tendenze già riscontrabili nei lavori precedenti, ma che qui raggiunsero tutt’altri livelli di sperimentazione: si assiste nelle sue opere per Stoccarda all’elaborazione di strutture drammaturgico-musicali articolate e flessibili, che contaminano il modello metastasiano con influssi francesi e valorizzano il ruolo del recitativo accompagnato, mentre acquistano maggior rilievo gli interventi del coro, i pezzi d’assieme e la partecipazione attiva della componente orchestrale. Con tali interventi Jommelli manifesta la volontà di rinnovare l’opera seria dall’interno, in maniera da adeguarla alle nuove esigenze espressive e drammaturgiche mantenendo però una fedeltà di fondo nei confronti del dramma metastasiano, in particolare di quello di soggetto storico, genere che il compositore riteneva superiore a ogni altro. Non mancò, inoltre, un interesse di Jommelli nei confronti dell’opera comica: nella seconda metà degli anni Sessanta scrisse alcuni titoli di questo tipo sia per Stoccarda che per Lisbona, sperimentando inoltre il genere parodistico del «dramma serio-comico», dove il carattere buffo è contaminato da una vena patetica maggiormente congeniale allo stile del compositore.
Nel 1768 le condizioni lavorative garantite da Carlo Eugenio peggiorarono a causa del licenziamento di parte del personale artistico del teatro di corte; nel contempo, la moglie di Jommelli si ammalò gravemente, per cui quest’ultimo decise di tornare in Italia, con la speranza che un clima più mite giovasse alla salute di lei. Le conseguenze per i suoi rapporti con il duca furono fatali, cosicché il compositore fu costretto a cercare un ingaggio altrove, rivolgendosi alla corte di Lisbona, dove ottenne l’incarico di fornire partiture teatrali e sacre senza l’obbligo della residenza in loco. Trasferitosi definitivamente a Napoli, riprese a scrivere opere anche per varie città della Penisola, dove, malgrado le condizioni assai diverse rispetto a Stoccarda, continuò con sperimentazioni formali e drammaturgico-musicali, tra cui il parziale superamento dell’aria col da capo, nonché con una scrittura strumentale più complessa rispetto alle consuetudini dei teatri italiani. Reso infermo da un colpo apoplettico subito nell’estate del 1771, Jommelli morì a Napoli il 25 agosto 1774.
- Marita P. McClymonds, Niccolò Jommelli: the last years, 1769-1774. Ann Arbor, UMI Research Press, 1980.
- Hermann Abert, Niccolò Jommelli als Opernkomponist. Mit einer Biographie. Tutzig, Hans Schneider, 1991 (ristampa dell'edizione originale: Halle, M. Niemeyer, 1908).
- Saverio Mattei, Memorie per servire alla vita del Metastasio ed elogio di N. Jommelli. Bologna, Forni, 1987 (facsimile dell'edizione originale: Colle, A. M. Martini, 1785).
- Angela Romagnoli, Jommelli, Niccolò. In: Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 62 (2004).
- Jommelliana: Un operista sulla scena capitolina – Studi sul periodo romano di Niccolò Jommelli. A cura di Gianluca Bocchino e Cecilia Nicolò, Lucca, LIM, 2017.
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