Domenico da Piacenza

Immagini (Secondarie)
Didascalie

1. Frontespizio del trattato De arte saltandi et choreas ducendi. De la arte di ballare et danzare di Domenico da Piacenza conservato presso la Bibliothèque nationale de France, Fonds Ital. 972, Domenico da Piacenza

2. Un particolare del Cassone Adimari, dipinto a tempera su tavola dello Scheggia, databile al 1450 circa e conservato nella Galleria dell'Accademia a Firenze. Rappresenta un momento di una "festa" nuziale e, come in tutte le occasioni festive, musica e danza erano elementi imprescindibili in una civiltà in cui l'arte era considerata una ragione sociale.

Data di nascita
1400 circa
Data di morte
1476 circa
Epoca
Categoria
Biografia

Domenico da Piacenza, segnalato anche come da Ferrara, fu attivo presso gli Estensi tra il 1439 e il 1475.

Chiamato da Francesco Sforza a Milano nel 1455 già all’apice della sua carriera, realizzò azioni coreografiche per le nozze di Tristano Sforza e Beatrice d’Este, esibendosi anche in qualità di danzatore. In seguito, sempre a Milano, Domenico coreografò, affiancato dall’allievo Guglielmo Ebreo, moresche e balli in occasione del fidanzamento tra Ippolita Sforza e Alfonso di Aragona. Una collaborazione, quella tra Domenico e il suo allievo, che si rinnoverà a Forlì, nel maggio del 1462, per le celebrazioni del matrimonio di Pino de Ordelaffi e Barbara Manfredi.

La fama di Domenico, più che alla sua attività di coreografo o danzatore, è soprattutto legata al suo trattato, il De arte saltandi et choreas ducendi. De la arte di ballare et danzare, composto tra il 1450 e il 1455 circa, che non solo preservò il lavoro fatto da Domenico, ma divenne anche un modello per i successivi trattati di ballo del Quattrocento, come testimoniato dagli scritti dei suoi allievi, il già ricordato Guglielmo Ebreo e Antonio Cornazano, nei quali è definito dignissimo cauagliere e cauagliere aurato, anche in relazione al suo essere stato insignito per i suoi meriti dell’Ordine dello Speron d’Oro. Nella prima parte del manoscritto, di natura squisitamente teorica, la danza è analizzata in prospettiva estetica con riferimenti al pensiero aristotelico (ne è un esempio il complesso termine fantasmata che rimanda al De Anima ed indica la possibilità di ricordare la danza). Un approccio, dunque, che contribuiva a conferire dignità all’arte del ballo.

E proprio in quanto arte, la danza richiedeva regole precise che Domenico enunciò nel suo testo. Tali regole sono: mesura, memoria, maniera, mexura de terreno, aire. Nel trattato, poi, l'autore offriva anche una classificazione sistematica dei passi e divideva i movimenti in due gruppi principali: movimenti naturali (semplice, doppio, ripresa, continenza, riverenza, mezza volta, volta tonda, movimento, salto) e accidentali (frappamento, scossa, cambiamento). In seguito, esponeva le diverse misure musicali di cui è composto il ballo: bassadanza, saltarello, quaternaria e piva.

La seconda parte del trattato, invece, contiene diciassette balli corredati dalle rispettive notazioni musicali e cinque bassedanze prive di musica. Le coreografie sono descritte verbalmente, per ogni ballo è indicato il numero dei danzatori. Si tratta di composizioni di danza pura, ma anche di danza descrittiva arricchita da gesti pantomimici richiesti dal soggetto rappresentato (ad esempio, Prexonera, Vercepe, Mercantia e Sobria).

L'importanza di Domenico sta nell'aver creato le basi per una teorizzazione della danza d’arte, una grammatica di movimenti e di passi e una sintassi di figurazioni che permettono la creazione di composizioni sempre nuove di libera invenzione. Poiché in esso sono sistematizzati principi quali la coordinazione, il portamento, l’aere, in cui alcuni studiosi videro un’anticipazione dell’élevation del balletto accademico, il trattato di Domenico illustra l’alto livello di consapevolezza artistica e interpretativa che aveva raggiunto la danza italiana all'epoca. Inoltre, per la complessità delle invenzioni, si può ipotizzare che il trattato fosse destinato ad esecutori già abbastanza esperti e che ci fosse, in esso, anche una tendenza ad una professionalizzazione della danza, che non era più, solamente, occasione di svago relegata alle occasioni di divertimento, ma vero e proprio spettacolo.

Bibliografia

Ingrid Brainard, Domenico da Piacenza, in International Encyclopedia of Dance, New York – Oxford, Oxford University Press, 1998, vol. 2, pp. 427-429.

Claudia Celi, "La danza aulica italiana nel XV secolo" in Nuova Rivista Musicale Italiana Anno XVI - n. 2 (aprile-giugno 1982) pp. 218-225.

Marina Nordera, Domenico da Piacenza ou D. Da Ferrara, in sous la dir. de Philippe Le Moal, Dictionnaire de la danse, Paris, Larousse, 1999, p. 17.

Maurizio Padovan, Il Quattrocento e il Cinquecento, in a cura di José Sasportes, Storia della danza italiana dalle origini ai giorni nostri, Torino, EDT, 2011, pp. 1-68.

Alessandro Pontremoli, Danza e Rinascimento. Cultura coreica e “buone maniere” nella società di corte del XV secolo, Macerata, Ephemeria, 2011.

Chloe Spedding, Issues of dance notation: Domenico da Piacenza's dance writing in Fifteenth-Century Italy, A thesis submitted to the Victoria University of Wellington in fulfilment of the requirements for the degree of Master of Arts in Italian, Victoria University of Wellington, 2013.   

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Modificato
05/01/2019

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