Méric-Lalande, Henriette Clémentine
Henriette Clementine Lalande (née Lamiraux) nacque a Dunquerque, da Jean Baptiste Lamiraux e da Madame Dassonville. Dopo aver ricevuto la prima formazione musicale dal padre, direttore d’orchestra, Henriette debuttò, probabilmente nel 1814, appena sedicenne, a Nantes, in un ruolo e in un’opera non noti. Secondo alcuni estensori milanesi, tra cui Gaetano Barbieri che nell’autunno 1827 le dedicò un lungo ritratto biografico sul proprio giornale «I Teatri», nella cittadina francese, la giovane artista conobbe un non meglio precisato «colto Italiano» che, fuggito in Francia all’indomani del crollo dell’impero napoleonico, la iniziò allo studio della propria lingua. Forte di tale importante acquisizione, Henriette si spostò a Lione, dove prese parte alle produzioni della Vestale di Gaspare Spontini e di altre opere di Daniel Steibelt. Nella stessa città ebbe modo di incontrare l’attore François-Joseph Talma, che affascinato dal talento drammatico dell’interprete, la persuase, forse verso il 1820, ad affiancarlo in una recita dell’Athalie di Jean Racine.
Probabilmente anche grazie a Talma, che tentò di convincerla, senza successo, ad entrare nella propria compagnia di attori presso il prestigioso Théâtre de la Comédie Française, Henriette si trasferì a Parigi, dove incontrò l’allora famosissimo compositore, cantante e didatta di canto Manuel Garcia padre. Questi scrisse per lei l’opéra-comique in un atto La meunière, su libretto di Eugène Scribe e Mélesville (pseudonimo di Anne-Honoré-Joseph Duveyrier), che la Lalande interpretò, vestendo i panni di Thérèse, il 16 maggio 1821, presso il teatro del Gymnase Dramatique. Le reazioni allo spettacolo furono contrastanti, ma dopo quell’allestimento, Henriette si cimentò in altre produzioni di opere perlopiù rossiniane, spesso tagliate e tradotte in francese, nella stessa sala parigina, che era stata inaugurata nel dicembre 1820 allo scopo di allestire brevi titoli musicali, da far interpretare a giovani artisti. Nel 1823, di nuovo a Lione, la Lalande prese parte alla produzione de Les folies amoureuses, opera buffa pastiche in tre atti, in lingua francese, assemblata da Castil Blaze su una riduzione della commedia omonima di Jean-Françoise Regnard con musiche di diversi autori, in maggioranza italiani, tra cui Cimarosa, Paer, Rossini, Pavesi e Generali. Fu a quest’altezza cronologica che Henriette sposò il cornista, attivo presso il Théâtre dell’Opéra Comique, Jules Prosper Méric, dal quale, come consuetudine all’epoca, ereditò il cognome.
Dopo la produzione di Lione, la Lalande decise di intraprendere un viaggio in Italia, la cui prima tappa fu Milano. Nella città lombarda, essa divenne allieva degli allora famosi maestri di canto Paolo Bonfichi e, soprattutto, Davide Banderali. Milano fu fecondo terreno di opportunità professionali per la giovane: grazie all’interessamento di Giuseppe Crivelli, che all’inizio degli anni Venti fu, insieme a Carlo Balocchino, impresario del Teatro alla Scala, così come di altre sale in Italia e a Vienna, la Lalande venne scritturata per la stagione di Carnevale 1824 al Teatro La Fenice di Venezia. In seguito a un paio di produzioni che ebbero esito modesto (Egilda di Provenza di Romani-Pavesi e Ilda d’Avenel di Rossi-Morlacchi), Henriette si cimentò in quello che sarebbe stato uno dei più grandi successi della sua carriera, nonché la prima vera affermazione su un palcoscenico italiano, cantando il ruolo di Palmide nell’opera di Gaetano Rossi e Giacomo Meyerbeer, Il crociato d’Egitto, accanto al tenore Gaetano Crivelli e al castrato Giovan Battista Velluti. Il titolo ebbe un’accoglienza calorosissima e la Lalande ottenne plauso unanime per l’abilità vocale, tangibile soprattutto nelle eleganti colorature, e per l’intensità dell’espressione drammatica. Il successo del Crociato d’Egitto spalancò a Henriette le porte del Kärtnerthortheater di Vienna, nonché quelle dei principali teatri d’Italia, dove l’artista si produsse con successo sempre crescente: al Teatro Grande di Brescia, Henriette, il cui nome, a quest’altezza cronologica era spesso italianizzato in «Enrichetta», fu Clotilde, nella Rosa bianca e la rosa rossa di Casari-Mayr, ruolo che riprese poco dopo al Teatro della Concordia di Cremona. L’anno successivo venne scritturata al Teatro della Comune di Bologna, dove cantò il ruolo di Elisabetta, nell’Elisabetta regina d’Inghilterra di Schmidt-Rossini e quello di Semiramide, nell’opera omonima di Rossi-Rossini. Il consenso riscosso nella città felsinea le valse l’ingresso nella prestigiosa Accademia Filarmonica locale e il conio di una medaglia celebrativa. Di nuovo a Venezia, sempre nel 1825, la Lalande fu Zelmira nell’opera omonima di Tottola e Rossini.
Il 1826 segnò il trasferimento di Henriette a Napoli, all’epoca ancora primo centro spettacolare d’Europa. L’artista venne scritturata presso il Teatro San Carlo dove incontrò sia Gaetano Donizetti, all’epoca principale compositore dei reali teatri partenopei, che su di lei cucì il ruolo di Elvida nell’opera omonima su libretto di Giovanni Schmidt (6 luglio), sia il poco più che esordiente Vincenzo Bellini, che le affidò il ruolo di Bianca, in Bianca e Gernando, su libretto di Domenico Gilardoni (30 maggio). Nel 1827, Henriette partì alla volta di Milano, città presso cui avrebbe riscosso i più grandi successi della sua carriera. Ingaggiata quale prima donna presso il Teatro alla Scala, che nell’arco di pochissimi anni sarebbe diventato la sala lirica più prestigiosa d’Italia, la Lalande ebbe la ventura di prodursi nei principali ruoli femminili di quelle che furono le opere più fortunate dell’epoca, a partire da Ottavia nell’Ultimo giorno di Pompei di Tottola-Pacini. Il titolo era stato rappresentato l’anno prima a Napoli ma a Milano, complice una fantastica macchina scenica ideata dallo scenografo Alessandro Sanquirico, che riproduceva l’eruzione del Vesuvio, esso venne replicato più di quaranta volte, a furor di pubblico. Successivamente, oltre a interpretare con straordinario seguito i principali ruoli femminili dei più diffusi melodrammi rossiniani (Elisabetta Regina d’Inghilterra, Otello, Mosè in Egitto, La donna del lago, Semiramide), Henriette fu Imogene nel Pirata e Alaide nella Straniera, entrambi titoli di Romani-Bellini, le cui prime rappresentazioni risalgono, rispettivamente al 27 ottobre 1827 e al 14 febbraio 1829. Sempre alla Scala, la cantante tornò a vestire i panni di Bianca nella versione rivisitata di Bianca e Gernando (Bianca e Fernando) e, proseguendo la collaborazione con Bellini, diede vita al personaggio di Zaira nell’opera omonima ancora su libretto di Romani, rappresentata a Parma nella primavera 1829.
Nel 1830 Henriette affrontò un viaggio oltremanica, interpretando il ruolo di Imogene nel Pirata presso il King’s Theatre di Londra. A detta del critico Henry Chorley, in quella produzione la cantante offrì una prova piuttosto mediocre, ma è necessario precisare che l’opera di Bellini in sé venne recepita freddamente dal pubblico britannico. Tuttavia, la reputazione artistica di Henriette presso il King’s ebbe modo di riabilitarsi almeno in parte nella successiva produzione di Donna Caritea Regina di Spagna di Pola-Mercadante, in cui essa cantò il ruolo eponimo. Lasciata Londra, nella successiva stagione 1830-31, la Lalande approdò al Théâtre Italien di Parigi, la sala europea più ambita dai cantanti dell’epoca. Ma in quella, dove pure tornò a cantare uno dei ruoli che l’avevano resa celebre in Italia – Ottavia nell’Ultimo giorno di Pompei – l’artista subì, suo malgrado, la fama gigantesca delle altre primedonne, più giovani o più apprezzate di lei, che calcavano in quel periodo il medesimo palcoscenico: Giuditta Pasta, Maria Malibran, Giulia Grisi.
Nel 1833, rientrata in Italia, Henriette fu prima interprete nella controversa produzione di Lucrezia Borgia di Romani-Donizetti al Teatro alla Scala nella stagione di Carnevale 1834, l’ultimo ruolo di rilievo scritto su misura per lei. Ma, anche in quella occasione, vari commentatori insistettero sulla perdita dello smalto da parte dell’artista, dovuta, in particolare al fatto che il suo vibrato era divenuto ampio al punto da minare spesso l’intonazione. A ridosso di un’opaca interpretazione della Parisina di Romani-Donizetti al Teatro Carcano di Milano, avvenuta appena qualche mese più tardi rispetto alle recite di Lucrezia alla Scala, l’editore Giovanni Ricordi riferiva a Vincenzo Bellini, allora di stanza a Parigi, «in confidenza: la Lalande del Pirata e della Straniera non vive più <,> quella che porta un tal nome non accenna neppure la ricordanza di que’ bei tempi».
Dopo la produzione al Carcano, Henriette continuò a cantare in vari teatri, tra cui quelli di Venezia, Torino, Genova e Trieste, perlopiù nei ruoli che l’avevano resa celebre (Lucrezia Borgia su tutti). Ma dopo il 1838, quando l’artista era appena quarantenne, le scene liriche italiane ed europee sembrarono obliarla, non riscontrandosi più alcuna menzione relativa a sue partecipazioni a spettacoli operistici.
La Lalande morì a Chantilly il 7 settembre 1867.
Nel suo periodo aureo, che a grandi linee risulta dunque essere compreso tra il 1825 e il 1833, Henriette Méric-Lalande venne ammirata, oltre che per la ricordata incisività nella recitazione, anche e soprattutto per l’omogeneità dell’emissione vocale dal registro grave all’acuto, per la precisione dell’intonazione, per la facilità nella resa delle colorature, tipiche, in particolare, dei ruoli rossiniani da lei interpretati. Tra la fine degli anni Venti e i primi Trenta, si concentrò anche il maggior numero di omaggi rivolti all’artista: perlopiù odi o sonetti encomiastici, articoli di taglio biografico in diversi giornali italiani, spesso corredati da ritratti.
[Gaetano Barbieri] «I Teatri», 1827, tomo I, parte II, p. 477-484
Enrichetta Meric-Lalande in Mayr e la musica, Milano, Artaria, 1828, pp. 53-65
Méric-Lalande Henriette (Clémentine), ad vocem in The New Grove Dictionary of Opera, edited by Stanley Sadie, vol. II, p. 341.
Roger Parker, Rosie Ward, Introduzione storica in Gaetano Donizetti, Lucrezia Borgia, edizione critica a cura di R. Parker e R. Ward, Milano, Ricordi, 2019, pp. XI-XIV.
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