Cilea, Francesco
Francesco Cilea nacque nel 1866 a Palmi, in Calabria, da Felicita Grillo e Giuseppe Cilea; quest’ultimo, importante avvocato, avrebbe desiderato anche per il figlio una simile professione: fu questo il motivo dell’avvicinamento del giovane Cilea all’ambiente napoletano, dove si trasferì nel 1873 per accedere ad un convitto privato che gli avrebbe garantito un’educazione tale da poter, in seguito, compiere brillantemente gli studi giuridici. Tuttavia, appassionatosi alla musica e dimostrata per essa un’inclinazione naturale, Francesco Cilea abbandonò gli studi voluti dalla famiglia per entrare a far parte al Real Collegio di Musica di San Pietro a Majella sotto la guida di importanti figure come Beniamino Cesi (pianoforte) e Paolo Serrao (armonia e contrappunto). Si distinse da subito per le straordinarie doti musicali e compositive: il Ministero della Pubblica Istruzione lo insignì di una medaglia d’oro nel 1887; fu poi nominato Primo Alunno Maestrino, nonostante la giovane età; infine, in occasione del suo esame finale di composizione, il teatro del Conservatorio rappresentò la sua opera Gina, giudicata positivamente da pubblico e critica. Il successo del melodramma fu tale da spingere l’editore Sonzogno – tra le realtà più attive in quegli anni in ambito musicale e operistico – a commissionargli Tilda (1892, libretto Angelo Zanardini), accolta calorosamente in tutta Italia e non solo; Cilea, tuttavia, non convinto del soggetto verista del lavoro, chiese in seguito il ritiro delle partiture dal mercato, andando alla ricerca di temi più inclini alla sua sensibilità.
Nacque, così, Arlesiana (1897, libretto Leopoldo Aiwenco), al quale approdò ricevendo ispirazione dall’omonimo dramma di Alphonse Daudet e dalle musiche di scena composte da George Bizet. L’opera, dalla trama drammatica e insolita, non raggiunse il successo sperato, tanto da andare incontro a numerose riscritture negli anni successivi: la protagonista, una ragazza di Arles – da cui il titolo – non compare mai in scena, ma è evocata nei ricordi d’amore di Federico, che tuttavia non potrà sposarla e, a causa della gelosia, si suiciderà.
Nel 1902 andò per la prima volta in scena Adriana Lecouvreur (libretto Arturo Colautti su pièce teatrale di Ernest Legouvé and Eugène Scribe), senza dubbio il melodramma più noto di Francesco Cilea, apprezzato da subito in tutto il mondo. Il lavoro, nel quale è narrata la vicenda (probabilmente accaduta) dell’avvelenamento della cantante Adriana Lecouvreur da parte della Principessa di Bouillon, innamorata anch’essa, come la protagonista, del Conte Maurizio di Sassonia, dimostra affinità con il teatro lirico tardoromantico, oltre a manifestare interessanti sonorità orchestrali e l’ormai nota attenzione alla linea melodica, tratto distintivo della vocalità di Cilea.
Ad un differente destino andò incontro, invece, la sua ultima opera, Gloria (1907, libretto Arturo Colautti), di ambientazione medievale, la quale, pur se accolta positivamente a più riprese a Milano e Napoli, non ricevette un successo tale da permetterne la permanenza sulle scene.
Ritiratosi dall’ambito operistico, Cilea continuò la sua carriera di compositore dedicandosi maggiormente al repertorio strumentale, al quale aveva già precedentemente contribuito con interessanti lavori per pianoforte solo, pianoforte a quattro mani, formazioni cameristiche e orchestra. Il più importante esempio, in questo senso, è senza dubbio fornito dal poema sinfonico-corale Il canto della vita (versi di Sem Benelli), eseguito nel 1913 in occasione del centenario della nascita di Giuseppe Verdi.
Nel corso della sua vita si dedicò con successo all’insegnamento, ricoprendo inoltre il ruolo di Direttore dei Conservatori di Palermo (1913-1916) e di Napoli (1916-1935) e ottenendo la nomina ad Accademico d’Italia nel 1938 per il contributo allo sviluppo della cultura nazionale.
Morì nel 1950 a Varazze.
Raoul Meloncelli, Francesco Cilea in Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 25 (1981), su treccani.it, Treccani, l'Enciclopedia Italiana.
Gaetano Pitarresi (a cura di), La dolcissima effigie. Studi su Francesco Cilea, Laruffa Editore, Reggio Calabria 1994.
Cesare Orselli, Francesco Cilea. Un artista dall’anima solitaria, Varese, Zecchini, 2016.
Raffaello De Rensis, Francesco Cilea, Roma, NeoClassica, 2016.
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