Strozzi, Barbara
Barbara Strozzi nacque a Venezia nel 1619, figlia adottiva (probabilmente figlia illegittima) di Giulio Strozzi, il quale nel 1650 la nominò a sua unica erede. Sua madre era Isabella Garzoni detta «la Greghetta», per lungo tempo domestica di Giulio Strozzi. Allieva di Francesco Cavalli, Barbara fu la dedicataria dei due volumi delle Bizzarrie poetiche di Nicolò Fontei, usciti rispettivamente nel 1635 e nel 1636: essi contenevano canzoni a una, due o tre voci composte per lo più su testi di Giulio Strozzi, che Barbara interpretava a casa del padre alla presenza di vari letterari veneziani.
Le esecuzioni di Barbara furono istituzionalizzate nel 1637, quando Giulio fondò l’Accademia degli Unisoni, una diramazione di un’accademia letteraria più importante, l’Accademia degli Incogniti. Come rivelano i verbali degli Unisoni, apparsi in stampa nel 1638 col titolo Le veglie de’ Signori Unisoni, la musicista prendeva parte attiva agli incontri degli intellettuali, sia cantando che suggerendo gli argomenti sui quali gli accademici dovevano dibattere.
La carriera di Barbara Strozzi come compositrice professionista iniziò nel 1644 con la prima delle sue otto pubblicazioni, un volume di madrigali per 2-5 voci su testi di Giulio Strozzi da lei dedicato a Vittoria della Rovere, granduchessa di Toscana. Delle sue opere a stampa sopravvissute fino a noi (manca l’op. 4), tutte tranne una uscirono dopo la morte di Giulio, avvenuta nel 1652. Ognuna di esse fu dedicata a importanti mecenati, come Ferdinando II d’Austria ed Eleonora di Mantova (op. 2, 1651), Anna d’Austria, arciduchessa di Innsbruck (op. 5, 1655), Nicolò Sagredo, poi doge di Venezia (op. 7, 1659) e Sofia, duchessa di Brunswick e Lüneburg (op. 8, 1664); l’op. 4, del 1655, era probabilmente dedicata a Carlo II, duca di Mantova, per il quale nel 1665 la musicista scrisse diverse altre canzoni. Tali dediche sembrerebbero indicare che Strozzi fosse costretta a fare affidamento sulle proprie capacità come compositrice per assicurarsi da vivere dopo la morte del padre.
Pur non essendosi mai sposata, risulta che nel 1651 Barbara avesse quattro figli: la paternità di almeno tre di loro è verosimilmente da ricondurre a Giovanni Paolo Vidman, un amico di Giulio Strozzi al quale quest’ultimo, nel 1641, aveva dedicato La finta pazza. Due figlie di Barbara entrarono nel convento di S. Sepolcro, a Venezia, nel 1656, il figlio Massimo divenne monaco presso il monastero di S. Stefano a Belluno e dell’altro figlio, Giulio Pietro, si sa che era ancora in vita nel 1680. Barbara Strozzi morì a Padova l’11 novembre 1677.
A parte i madrigali dell’op. 1 e i mottetti dell’op. 5, quasi tutte le composizioni di Strozzi a noi pervenute sono ariette, arie e cantate per voce sola (prevalentemente soprano) e basso continuo; un piccolo gruppo di brani utilizza anche gli archi. I pezzi più semplici sono delle ariette, ossia delle brevi arie in forma strofica (come avviene per la maggior parte dei brani dell’op. 6). Le composizioni più complesse sono le cantate (opp. 7 e 8), le quali sono piuttosto estese e divise in più sezioni, contemplando diversi stili vocali (recitativo, arioso e aria) a seconda delle distinzioni testuali tra narrazione aperta e momenti lirici. Le arie sono generalmente più brevi delle cantate e sono spesso strofiche, di frequente incorniciate da un refrain posto all’inizio e alla fine.
I testi messi in musica dalla compositrice, per la metà anonimi, prendono a modello la poesia di Giovan Battista Marino nell’argomento per lo più amoroso e nello stile ricco di concettismi, dove si alternano ironia e patetismo. Oltre a testi di Giulio Strozzi, Barbara mise in musica versi di differenti figure associateall’ambiente operistico veneziano della metà del Seicento, come Aurelio Aureli, Pietro Dolfino, Nicolò Beregan e altri. Benché non abbia scritto alcuna opera, i suoi lavori migliori (tra cui il lamento «Sul Rodano severo») veicolano un’azione drammatica in cui si assiste a uno sviluppo, in parte descritto da un narratore, nel corso del quale un protagonista giunge alla risoluzione di una situazione difficile attraverso una serie ben calcolata di eventi drammaturgico-musicali.
Tanto nelle cantate quanto nelle arie la principale procedura formale impiegata da Strozzi è il contrasto, usualmente combinato con ritorni a mo’ di refrain. Il suo stile, sempre aderente alla struttura e ai significati del testo, è caratterizzato dall’alternanza tra passaggi misurati e non misurati, nonché tra metro binario e ternario; emerge anche un uso occasionale del cosiddetto «stile concitato». Tutto ciò riflette la sua formazione nella tradizione della «seconda prattica», esemplificata nella produzione di Cavalli. Tuttavia, le espansioni melodiche sono più lunghe e le ripetizioni di parole più frequenti in Strozzi rispetto a quanto avviene nella musica del maestro, inoltre il suo stile è in generale più lirico e maggiormente finalizzato alla valorizzazione del suono vocale. Dal punto di vista tecnico, queste composizioni non sono particolarmente ardue sia per quanto riguarda il virtuosismo, sia per l’ampiezza o la tessitura; l’omogeneità dello stile vocale delle opere di Strozzi, l’organico per soprano e basso continuo e i continui giochi di parole sul suo nome suggeriscono che cantasse lei stessa le proprie composizioni, nell’ambito di radunanze accademiche o di analoghe occasioni sociali.
Il pittore genovese Bernardo Strozzi dipinse un ritratto di Barbara e nel 1639 lei ne fece fare una copia per uno dei suoi mecenati veneziani. Il dipinto intitolato Suonatrice di viola da gamba, ora conservato presso la Gemäldegalerie di Dresda, è con ogni probabilità il ritratto originale della compositrice dipinto da Bernardo Strozzi.
- Franca Trinchieri Camiz, La bella cantatrice: I ritratti di Leonora Barone e Barbara Strozzi a confronto. In: Musica, scienza e idee nella Serenissima durante il Seicento, a cura di Francesco Passadore e Franco Rossi, Venezia, Fondazione Ugo e Olga Levi, 1996, pp. 285-294.
- Beth Glixon, New Light on the Life and Career of Barbara Strozzi. «The Musical Quarterly», 81, 2 (estate 1997), pp. 311-335.
- Beth Glixon, More on the Life and Death of Barbara Strozzi. «The Musical Quarterly», 83, 1 (primavera 1999), pp. 134-141.
- Robert L. Kendrick, Intent and Intertextuality in Barbara Strozzi's Sacred Music. «Recercare», 14 (2002), pp. 65-98.
- Wendy Heller, Usurping the place of the muses: Barbara Strozzi and the female composer in seventeenth-century Italy. In: The World of Baroque Music: New Perspectives, a cura di George B. Stauffer, Bloomington, Indiana University Press, 2006, pp. 145-168.
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