Rainer, Yvonne
Yvonne Rainer, foto di Daniel Assayag. Fonte: wikipedia.org
Yvonne Rainer nasce nel 1934 a San Francisco. Nel 1956 si trasferisce a New York per studiare recitazione all’Herbert Berghof School of Acting dove prende le prime lezioni di danza. Preferendo intraprendere la carriera di danzatrice, lascia la recitazione e studia modern dance con Edith Stephen e nella scuola di Martha Graham.
Nel 1960, su consiglio di Simone Forti, segue a San Francisco un workshop con Anna Halprin, con la quale sperimenta un movimento libero dai codici della modern dance e nuove possibilità performative che superano le convenzioni teatrali. Qui incontra alcune importanti figure, quali Trisha Brown e La Monte Young. Tornata a New York, prosegue la sua formazione nella scuola di Merce Cunningham, dove frequenta il corso di composizione coreografica di Robert Dunn. Negli stessi anni (1961-1965) avvia la sua carriera danzando nella compagnia di James Waring e prendendo parte alla performance See-saw di Simone Forti (1961).
Nel 1962 è tra i membri fondatori del Judson Dance Theater, collettivo identificato come l’origine della post-modern dance, la cui sede è il Judson Memorial Church in Greenwich Village (Manhattan). In questa cornice intraprende un percorso di ricerca che rivoluziona il concetto di performance e che è fonte e riflesso della propria attività coreografica. Le performance dei primi anni Sessanta, profondamente influenzate dalla lezione di Cunningham, presentano una struttura aleatoria, ossia sequenze coreografiche connesse tra di loro attraverso combinazioni arbitrarie. A differenza di Cunningham, i suoi movimenti non provengono soltanto dal vocabolario tecnico ma ne includono anche di nuovi e singolari come quello di giocherellare con le dita davanti al viso (The Bells, 1961) o di tracciare linee sul corpo con il dito (Three Satie Spoons, 1961). Altre peculiarità compositive sono: l’impiego di gesti quotidiani (Ordinary Dance, 1962), il ricorso a performer non professionisti (We Shall Run, 1963) e l’adozione dei criteri di ripetitività (Word Words, 1963).
Nel 1964 la realizzazione di Room Service segna un punto di svolta nella sua creatività coreografica. Il lavoro, contraddistinto da azioni prive di qualsiasi connotazione narrativa, psicologica ed espressiva come quella di trascinare i mobili sulla scena, esemplifica il suo intento di liberare la danza dalle convenzioni teatrali, principio che enuncerà con forza l’anno seguente in No Manifesto (1965).
Nel 1966 Rainer crea Trio A, considerato il paradigma estetico della post-modern dance. Il presupposto teorico alla base della performance è espresso nel saggio A Quasi Survey of Some “Minimalist” Tendencies in the Quantitatively Minimal Dance Activity Midst the Plethora, or an Analysis of “Trio A”. In esso la coreografa, oltre a paragonare l’essenzialità della sua danza a quella degli scultori minimalisti, elenca i punti salienti della sua poetica: distribuzione uniforme dell’energia, eguaglianza delle varie sezioni coreografiche, ripetizione, neutralità del performer e del movimento. La prima versione di Trio A, presentata alla Judson Church nel 1966, s’intitola The Mind is a Muscle, Part 1 ed è costituita da tre assoli eseguiti da Steve Paxton, David Gordon e Rainer stessa.
Nel 1970 si unisce a The Grand Union per il quale realizza Continuous Project –Altered Daily, lavoro che esemplifica la linea di sperimentazione del collettivo e che combina due categorie: l’actual, ossia il movimento spontaneo, con il choreographed, il movimento fissato. Altre opere di rilievo di questi anni sono Grand Union Dreams (1971), Inner Appearances (1972) e This Is the Story of a Woman Who ... (1973), il suo ultimo lavoro coreografico. Gli anni Sessanta e Settanta sono anche la stagione del suo impegno politico, del quale ricordiamo Convalescent Dance (1967) e War (1970), opere di protesta contro la guerra del Vietnam, e Judson Flag Show (1970), performance che denuncia l’arresto di un gruppo di persone accusate di vilipendio alla bandiera americana. Nel 1971 partecipa con il Grand Union al concerto tenuto in favore delle Pantere nere.
Dal 1972 Rainer si dedica alla regia cinematografica, interesse maturato già negli anni precedenti con una serie di coreografie pensate appositamente per lo schermo come Hand Movie (1966). Due anni dopo decide di interrompere l’attività coreografica per dedicarsi completamente alla regia, pur tornando di tanto in tanto a ricostruire alcuni suoi lavori del passato. I suoi film, connotati da un forte approccio femminista, sono Lives of Performers (1972), Film about A Woman Who ... (1974), Kristina Talking Pictures (1976), Journeys from Berlin / 1971 (1980), The Man Who Envied Women (1985), Privilege (1991) e Murder and Murder (1996).
Nel 2000 torna alla coreografia creando After Many a Summer Dies the Swan per il White Oak Dance Project di Mikhail Baryshnikov. I suoi successi lavori sono: AG Indexical, with a Little Help from H.M. (2006), RoS Indexical (2007), Spiraling Down (2010), Assisted Living: Good Sports 2 (2011), Assisted Living: Do You Have Any Money? (2013) e The Concept of Dust, or How do you look when there's nothing left to move? (2015).
Nel corso della sua carriera ottiene numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali due Guggenheim Fellowships (1969 e 1988), Genius Grant (1990), Wexner Prize (1995) e Merce Cunningham Award (2015).
Yvonne Rainer è stata tra i principali coreografi della post-modern dance. Partecipe di quel movimento giovanile anti-establishment che ha cercato un’alternativa culturale e artistica, ha realizzato insieme ai colleghi del Judson Dance Theater un radicale cambiamento di prospettiva nella pratica coreografica. La sua danza, sfidando i codici della modern dance e in particolare la sua dimensione narrativa e psicologica, non ricerca la perfezione tecnica o l’espressività ma sperimenta l’oggettiva presenza del corpo, dei suoi gesti e movimenti. Più in generale la coreografa americana si oppone a tutte quelle convenzioni teatrali che hanno trasformato l’arte performativa in una rappresentazione di spettacolarità e virtuosismo. Con la sua poetica Rainer crea non soltanto un nuovo stile coreografico ma ridefinisce in maniera determinante la funzione e la definizione della danza.
Sally Banes, Tersicore in scarpe da tennis. La postmodern dance, a cura di Eugenia Casini Ropa, traduzione di Manuela Collina (tit. orig.: Terpsichore in Sneakers: Post-Modern Dance), Macerata, Ephemeria Editrice, 1993.
Yvonne Rainer, The films of Yvonne Rainer, Bloomington, Indiana University Press, 1989.
Yvonne Rainer, A Woman Who… Essays, Interviews, Scripts, Baltimore, John Hopkins University Press, 1999.
Yvonne Rainer, Feelings are facts: a life, Cambridge, MIT Press, 2006.
Yvonne Rainer, Poems, Brooklyn, NY, Badlands Unlimited, 2011.
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